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Riforma del Testo Unico degli enti locali e diritto di voto

by Redazione

Il diritto di voto degli stranieri nelle elezioni circoscrizionale e di quartiere potrebbe essere sancito dal nuovo Testo Unico degli enti locali, il “Codice delle autonomie”, che dovrebbe superare il d.lgs. n. 267/2000. È quanto affermato dal sottosegretario all’Interno Alessandro Pajno nel corso di un convegno sul decentramento amministrativo, a Bologna, qualche giorno fa.
Il riconoscimento di tale diritto ai cittadini non comunitari risponde all’obiettivo di «favorire una forma di partecipazione più diretta a queste istituzioni semi-amministrative».

D’altro canto l’ancora vigente Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, il d.lgs. n. 267/2000, all’art. 8, comma 5 dispone che gli enti locali hanno l’obbligo di prevedere nei loro statuti “forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti”.

La garanzia di un’effettiva partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale è, in effetti, una questione di democrazia nonché uno degli elementi indispensabili per una politica di inclusione nella prospettiva del riconoscimento dell’essere uomo in tutte le dimensioni imprescindibili non ultima, quella politica, che non può essergli negata.

Inoltre la crescente intensità del fenomeno migratorio e la presenza nella popolazione degli enti locali di una parte di persone che non concorrono alla formazione dell’indirizzo politico, pone un problema di deficit di democrazia conseguente alla dicotomia tra sistema sociale e sistema politico e alla cesura tra produttori delle decisioni politiche e destinatari delle stesse, con la negazione di diritti fondamentali della persona umana.

E molti enti locali hanno risposto a questa esigenza adottando modifiche statutarie in tal senso, comuni come Forli’, Cesena, Mogliano Veneto, province come Pisa. Delibere, però, sistematicamente bocciate dal Governo, che nella persona del ministro dell’Interno, Giuliano Amato, sostiene la necessità di una modifica costituzionale per il riconoscimento del diritto di voto amministrativo agli stranieri e di un avvicinamento della cittadinanza alla carta di soggiorno con modifica della normativa vigente in campo.

La opportuna modifica delle legge sulla cittadinanza con la previsione di una riduzione dei termini di permanenza sul territorio a cinque anni per l’acquisto della cittadinanza (è quanto dispone, tra l’altro, il ddl di iniziativa governativa di modifica della normativa sulla cittadinanza) indubbiamente risolverebbe anche – come è facilmente intuibile – le questioni relative al diritto di voto, ma l’iter legislativo di approvazione non si presenta privo di ostacoli e la possibilità di procedere parallelamente su strade diverse, ma complementari sembra essere necessaria. 

In questa prospettiva la strada  potrebbe essere quella della ratifica da parte dello Stato italiano del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, firmata a Strasburgo il 5 febbraio 1992, che all’art. 6, riconosce il diritto di voto agli stranieri che abbiano risieduto legalmente ed abitualmente nello Stato nei cinque anni precedenti le elezioni, fatta salva la possibilità per ciascuno Stato di prevedere un periodo più breve (art. 7), alle stesse condizioni prescritte per i cittadini.

Questa soluzione troverebbe la copertura non solo degli artt. 10, primo comma, e 11 della Costituzione, ma anche del novellato art. 117, primo comma, della Costituzione, che sembra pariordinare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali alla Costituzione stessa.

A noi sembra la via più semplice a breve, di ineccepibile correttezza costituzionale, che potrebbe rendere possibile la partecipazione dei cittadini stranieri alle elezioni amministrative quanto prima.

Maria Carla Intrivici

(24 novembre 2006)


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