PERCHE’ INTERESSARSI AD UNA GUERRA
Non è semplice giudicare gli avvenimenti di un Paese che non è il tuo. Impegnarsi con passione per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo un conflitto armato, risulta solo una goccia nel mare. Però se leggiamo la favola africana del Colibrì, forse la speranza si può raggiungere. (vedi la storia a fine articolo)
Il Colibrì oggi potrebbe suggerire di documentarci, di approfondire, per capire il perché di certi “avvenimenti”. Questo vale un po’ per tutto e sicuramente conoscere ci aiuta a pensare e discutere meglio.
Recentemente su un sito on line a me caro, c’è un articolo che spiega gli effetti della guerra in Etiopia nella regione del Tigray. Molti i commenti di condivisione, ma anche delle particolari esternazioni del tipo: “…sono africani, se la vedano loro se hanno voluto una guerra…”
L’unica considerazione che potrebbe vedermi, non in accordo, ma tollerante con tale dichiarazione, parte da lontano. In effetti ogni popolo ha una storia e tramite essa avvengono evoluzioni, cambiamenti, circostanze che caratterizzano le fasi della vita di un Paese.
Nel caso dell’Etiopia fin dall’epoca di Hailé Selassié (ultimo imperatore dell’Etiopia), parliamo dagli anni ’30 in poi, i governi che si sono succeduti hanno avuto sempre la caratteristica di essere autodeterminati da potenti aristocratici e autorità militari. Quindi parliamo di governi “guidati” non certo da una democrazia esplicita.
La speranza, non solo mia, è quella che questo popolo si avvicini a forme di governo democratiche più vicine al dialogo che alle dure prese di posizione.
Quindi in questo senso poco si può fare. Ogni nazione vive le proprie stagioni politiche.
Invece, quello che non posso accettare riguardo l’esternazione sopra esposta, è il tono della risposta del nostro amico, dove traspare tutta la superficialità e individualismo di questo mondo; ma almeno lui ha avuto il coraggio di mostrare quello che è o rappresenta.
Dopo ormai un decennio che vivo in Etiopia, ho l’impressione che la gran parte del popolo partecipi da lontano a quelle che sono le scelte e le direttive politiche del proprio governo. Non si spiega altrimenti il fatto che non ci siano reazioni visibili riguardo quello che sta accadendo in Tigray. Nella capitale Addis Abeba, non se ne parla o si evita di parlarne.
Si evita di parlarne pur sapendo che le violenze in corso colpiscono soprattutto i civili. Connazionali, quindi, che rimangono inermi di fronte ad una situazione catastrofica dal punto di vista umanitario, invece di focalizzare che i problemi sono di ordine politico e non di appartenenza ad una regione diversa dalla propria.
Io non posso e non voglio credere che il popolo etiope sia favorevole all’eliminazione della gente di una regione del proprio Paese, perché questo è il vero pericolo di questo momento.
Molti tigrini emigrati in altri Paesi, manifestano invece posizioni più radicali e più propense all’isolamento della propria etnia, insomma all’indipendenza. Purtroppo, questa situazione non nasce oggi; il passato ci insegna che la politica di alcuni imperatori etiopici e gli effetti negativi del colonialismo italiano hanno influito nel tempo ad innescare divisioni, disgregazioni tra le diverse etnie in Etiopia. Nella storia del ‘900 potremmo approfondire ciò che realmente è accaduto.
Quindi perché interessarsi ad una guerra? Molte potrebbero essere le risposte.
Per me è evidente, in questi ultimi tempi, che non solo gli interessi di natura politico-economica possono smuovere una situazione complicata come quella di un conflitto armato; riguardo la guerra in Tigray ormai tutte le più importanti agenzie di stampa cominciano a far “rumore”, risonanza per quello che sta accadendo. Onu, Unione Africana, Oms e molte altre autorità internazionali stanno cercando il dialogo ed esternano pressioni al governo federale etiopico; purtroppo, finora senza grandi risultati.
Le manifestazioni svoltesi recentemente a Milano e Roma, confermano l’importanza di come ogni singolo cittadino possa interessarsi e sperare di smuovere qualcosa, di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità politiche affinché possano dedicarsi con maggiore convinzione al sostenimento di una causa difficile come placare un conflitto interno di una nazione.
Bisogna insistere e sperare. Sperare che si interessi a questa guerra anche chi lo dovrebbe e lo potrebbe fare. Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Australia ed altri Paesi stanno chiedendo il cessate il fuoco…e noi?
ADDIS ABEBA giugno 2021
Riccardo Netti
Foto di Wdkunze da Pixabay
La favola del Colibrì nella tradizione africana
“Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà. Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì. Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento. Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme. La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”. Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua. A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco. Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme. Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume. Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco. A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco. Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.
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