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by Redazione

Anch’io sono un reduce. Uno di quelli che nel ’68 era piccolo ma negli anni successivi era grande e che ha fatto la sua parte, fesserie comprese, all’interno di ciò che chiamavamo movimento.

Avevamo un sacco di difetti, un sacco di insopportabili tic, un profluvio di leader da operetta.

Ciaonè, 18 ottobre 2006   

Anch’io sono un reduce. Uno di quelli che nel ’68 era piccolo ma negli anni successivi era grande e che ha fatto la sua parte, fesserie comprese, all’interno di ciò che chiamavamo movimento.

Avevamo un sacco di difetti, un sacco di insopportabili tic, un profluvio di leader da operetta.

Ma avevamo anche un bel po’ di meriti e alcuni tra noi, neanche i più simpatici ne convengo, hanno mostrato, con gli anni,quanto valgono. Ripeto, hanno in comune il tratto dell’antipatia, ma Sofri, Lerner, Riotta, Mieli, non sono male. Su molti altri è vero, meglio sorvolare. E comunque cercavamo di migliorare, di sconfiggere e superare, con alterne fortune, gli abissi della nostra ignoranza.

Detto ciò, che nessuno si azzardi ad accumunare a noi quei quattro buzzurri che a Reggio Emilia hanno spernacchiato Gianpaolo Pansa e spintonato chi stava a sentire la presentazione del suo ultimo libro.

Pansa descrive ciò che definisce il sangue dei vinti, sfata la mitologia della sinistra solo buona e dei partigiani solo eroi. Parla del bene e del male che ci fu anche nelle file di chi si batteva per la libertà. E lo fa da uomo di sinistra, che a sinistra è sempre stato e, credo, sempre sarà.

Ora, non mi fa nessun effetto la prepotenze dei quattro asini che, ignorando completamente ciò di cui scrive Pansa, convinti come sono che il partigiano sia un prodotto DOC di Parma, menano le mani. Si rinnova in me, in casi come questo, piuttosto il dolore del leone morente che non consiste nel calcio che riceve, ma all’asino che glielo dà. E così gli pare di morire due volte.

Ciaonè, 18 ottobre 2006   


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