Luci e ombre della regolarizzazione
Non è stato un flop come profetizzato da molti, ma la complessità della procedura e l’assenza di una circolare sui costi previdenziali e fiscali (a carico degli imprenditori interessati a regolarizzare un rapporto di lavoro) ne hanno limitato la potenzialità. Scarsa l’adesione nel settore agricolo. Dubbi sulla qualità delle domande (in eccesso) nel settore domestico. Il sindacato chiede garanzie per i lavoratori le cui domande non si concludano per assenze o carenze dei datori di lavoro.
di Beppe Casucci
Duecento e ventimila domande presentate non sono poche, per cui sarebbe ingeneroso parlare di “flop” della procedura di emersione dal lavoro irregolare, conclusasi lo scorso 15 agosto. Naturalmente bisognerà fare il bilancio a valle: cioè quando le domande saranno state esaminate e i contratti di lavoro sottoscritti, per vedere quanti lavoratori stranieri saranno davvero emersi.
Guardiamo bene i motivi degli ostacoli
Per chi come noi è stato testimone delle passate regolarizzazioni, sa che molte domande vengono spesso comprate dai beneficiari a caro prezzo ed a beneficio di improvvisati consulenti senza scrupoli. E sappiamo anche che non sempre la domanda del datore di lavoro (vero o finto) si traduce in un contratto firmato ed un lavoro reale. Da qui la necessità di attenti controlli da parte delle autorità, ma anche l’urgenza – sottolineata da Cgil, Cisl, Uil al Governo – di garantire comunque un permesso per attesa occupazione anche agli stranieri la cui domanda non giungesse a buon fine, a causa di assenza o irregolarità del datore di lavoro. I moduli di richiesta inviati per lavoro subordinato (leggasi agricoltura) sono risultati essere a fine procedura solo 30.694, a cui vanno aggiunti altri 1.837 “domande in bozza”. Fatto sta, dunque, che le carenze di manodopera pronosticate nel settore agricolo in primavera (almeno 200 mila) non si sono tradotte in domande di emersione di posti di lavoro. I motivi potrebbero essere più d’uno: o il bisogno di manodopera non era poi così grande, oppure il ricorso al lavoro nero in quel settore continua ad essere preponderante, e poco scalfito dalla procedura promossa dal governo. In effetti, secondo recenti stime dell’Osservatorio Placido Rizzotto, sarebbero 400/430 mila i lavoratori agricoli in Italia che anche quest’anno sono stati irregolarmente impiegati, reclutati da caporali e gestiti in regime di dipendenza nell’ambito delle loro attività lavorative quotidiane. Di questi, poco più di 132 mila sono impiegati in condizione di grave vulnerabilità sociale. È dunque più conveniente e rapido per certe aziende far ricorso alla mafia dei caporali, piuttosto che impastoiarsi in una procedura lunga, costosa e non sempre sicura.
Cosa ha realmente influito sul numero delle domande
Allo scarso risultato nel settore agricolo, ancora, potrebbe avere anche contribuito l’incertezza sui costi di chi doveva far emergere un rapporto di lavoro in essere. Il governo, infatti, aveva anticipato l’uscita di una circolare che avrebbe stabilito l’entità del contributo forfettario da pagare (a copertura dei costi contributivi, retributivi e fiscali pregressi): circolare mai uscita! Questo naturalmente avrà influito sul numero di domande presentate e soprattutto aver indotto i datori di lavoro a presentare richieste per nuovi rapporti di lavoro invece che per l’emersione di rapporti lavorativi già in atto. Va anche aggiunto che, oltre alla circolare, non è mai arrivato in gazzetta ufficiale il decreto flussi per lavoro stagionale di quest’anno, a dimostrazione di un certo grado di approssimazione (e confusione) che ha maggiormente complicato la macchina burocratica ed amministrativa dello Stato.
Ben diversa la situazione per il lavoro domestico
Totalmente opposta la situazione sul fronte del lavoro domestico che ha totalizzato l’85% delle domande inviate (oltre 180 mila). Un successo numerico, certo. Ma anche su questo fronte sarà necessario un monitoraggio attento delle domande presentate a garanzia che i permessi di soggiorno siano emessi a fronte di reali rapporti di lavoro regolarizzati o instaurati. Resta il giudizio critico del sindacato non tanto sui risultati numerici, quanto sulle potenzialità della procedura, in parte compromesse dall’impostazione dell’Esecutivo ristretta (pochi settori coinvolti) e complicata (condizioni di accesso complesse, decine di decreti e circolari, meno quella più importante sui costi), un sistema informatico spesso sovraccarico. Infine: la scelta del Viminale di non stabilire per questa procedura un protocollo di collaborazione con i patronati (che danno supporto gratuito ai lavoratori) ha anche finito per favorire – sia pure indirettamente – il lucroso giro d’affari di consulenti ed avvocati (veri, presunti o improvvisati) che da sempre lucrano sulle difficoltà e urgenze di immigrati e rifugiati.
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