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L’immigrazione è una questione europea?

by Redazione

L’immigrazione è un problema europeo e, come tale, necessita di una maggiore cooperazione tra gli Stati membri dell’Ue: è quanto affermato ripetutamente da più parti.

È quanto sostenuto dal Presidente della Commissione europea, José Manuel Durao Barroso, in una recente lettera indirizzata a tutti i capi di Stato e di Governo dell’Ue, in cui invita alla solidarietà; solidarietà che deve essere intesa – spiega Barroso – come forma di sostegno finanziario e di dispiego di uomini e mezzi alle frontiere europee più sensibili, accompagnata da un’attività normativa che armonizzi le legislazioni nazionali sul tema.

E l’esigenza di un approccio globale europeo in campo migratorio viene espressa da Italia, Francia e Spagna in un appello congiunto alla Finlandia, Presidente di turno dell’Ue, e alla Commissione europea. Un’iniziativa comune – chiarisce lo stesso Prodi – che non deve consistere esclusivamente in pattugliamenti sul Mediterraneo, ma anche in attive politiche a livello europeo finalizzate allo sviluppo di nuovi approcci in materia di immigrazione sia legale che clandestina e alla costruzione di reti transnazionali di cooperazione anche con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo dai quali provengono i flussi migratori.

Ma quello che ci si chiede è se, a fronte di questi continui appelli alla “solidarietà europea” o delle reiterate richieste d’aiuto tra i partner europei, soprattutto per contrastare i flussi clandestini, è effettivamente questa la direzione in cui si sta andando.

In altre parole: la tanto decantata “soluzione europea” alla questione migratoria è veramente la strada che si sta percorrendo?

Dubbi e perplessità al riguardo non mancano.

In effetti, se per un verso si sostiene con tono perentorio la necessità di una politica comune in campo europeo, per l’altro ciascuno Stato membro continua ad elaborare e attuare la propria politica migratoria “senza chiedere l’autorizzazione e nemmeno il parere ai partner europei” come ha affermato il Ministro dell’Interno francese Nicolas Sarkozy e come è stato più volte contestato dalla Commissione europea in nome dell’importanza di una “verifica della politica dell’immigrazione” in Europa.

È il caso della Spagna di Zapatero, accusata di lassismo per la sua politica blanda sull’immigrazione, che, in serie difficoltà per i continui sbarchi di stranieri, si appresta a ripensare la propria strategia di accoglienza con misure più restrittive e un vero e proprio giro di vite contro l’immigrazione clandestina.

O la stessa Francia, il cui Ministro dell’Interno Sarkozy si è fatto promotore di un’immigrazione “scelta e non subita” unita ad un politica più rigida fatta di espulsioni e severi controlli.

O ancora la Gran Bretagna che, in controtendenza rispetto ad altri Paesi europei, sta riconsiderando la sua “politica delle porte aperte” verso i nuovi cittadini della Ue, prevedendo contingentamenti nei confronti dei flussi migratori provenienti dai due futuri nuovi membri, Romania e Bulgaria.

Non da ultimo l’Italia che si accinge a grandi cambiamenti nel campo, non sempre, però, “calati” nel contesto europeo.

Una politica europea dell’immigrazione, una maggiore cooperazione in seno all’Unione, partendo, magari, proprio dal trattato sulla Costituzione europea, è probabilmente la “soluzione”, è vero. Ma tale approccio comporterebbe troppi “sacrifici” per i singoli Stati, una cessione di sovranità, una ingerenza nei propri affari interni che non tutti sono disposti ad accettare, anche questo va considerato.

Maria Carla Intrivici

(22 settembre 2006)


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