L’elezione di Gul: un giudizio da dare con prudenza
by Redazione
Posted on Settembre 3, 2007
Abdullah Gülè il nuovo capo dello Stato turco. Colui che è stato premier e poi ministro degli esteri fedelissimo ad Erdoğan ma, soprattutto, esponente non sempre moderato di un partito fondamentalista islamico, rappresenta oggi un Paese di quasi settanta milioni di abitanti. Un Paese con una storia antica e straordinaria, ricca di contraddizioni, ma anche unico Stato a grande tradizione islamica che abbia vissuto un fortissimo processo di laicizzazione fin dal 1923 con Mustafa Kemaldetto Atatürk (Padre dei turchi). Kemal era un generale che con un colpo di stato avviò la più profonda e impensabile trasformazione mai vissuta da un Paese islamico; dichiarò la Repubblica affermò una nuova costituzione, separò nettamente vita pubblica e fede religiosa e, dichiarando l’illegalità dell’uso del velo per le donne nei pubblici uffici, volle dare un segnale inequivocabile circa i suoi intendimenti.
Il Kemalismo aveva delle pesanti incongruenze sul piano politico, più di tutte forse quella di mettere a garanzia e guardia della laicità, l’esercito di cui lui era autorevole esponente. E questa anomalia ha sempre avuto un forte peso nel determinarne un’altra ancora più grave: la scarsa affidabilità della Turchia sul rispetto dei diritti umani, condizione che, pur migliorata, ancora permane. Carceri, libertà di associarsi, di manifestare, parità sessuali, sono contraddizioni ancora irrisolte in una società per altri versi molto evoluta e trasformata.
Dalla fondazione della Repubblica turca è passato quasi un secolo ed è successo di tutto: si è evoluta e trasformata la Turchia, è nata l’Unione Europea, la questione islamica ha sostituito la decennale divisione ideologica del mondo in blocchi contrapposti. Da anni si discute e si negozia l’adesione del paese all’Unione Europea, comunque ipotizzata per la seconda meta del prossimo decennio. Le spine della questione europea sono diverse e pungono forte: la Turchia sarebbe, entro i prossimi 20 anni, il paese europeo a più alto numero di abitanti, il suo ingresso rappresenterebbe la fine dell’unità cristiana come elemento ispiratore – più o meno sentito- dei paesi membri, essa finirebbe insomma per spostare in modo ancora non quantificabile gli assetti attuali di potere all’interno dell’Unione. Ma gli interessi in ballo per un ingresso della Turchia in Europa sono altrettanto forti: un mercato enorme per le merci europee e per i figli di Atatürk un più forte centralità geopolitica, sia sul quadrante euro-mediterraneo, sia come opportunità di dialogo, tutto da verificare, verso parte del mondo islamico.
A tale riguardo sarebbe però auspicabile un attivismo tenace ma senza illusioni. Il ruolo della Turchia nei confronti del mondo islamico, vuole soprattutto dire verso l’Iran. Ma la diversità tra Turchia e Iran non è tanto uno scontro tra Islam politico tendenzialmente moderato ed uno fondamentalista; l’Iran gioca una partita più concreta che consiste nell’egemonia in quella complessa regione sulle sue ricchezze e su tutto il potere che ne deriva.
Ora come si può leggere l’elezione di Gül in un simile contesto? Certo con prudenza. Gül è uomo di Erdoğan ed Erdoğan non ha dato finora la sensazione di puntare a ripristinare il califfato in Turchia, né a dare spazio al Jihad. L’elenco dei Ministri appena presentati al Capo dello Stato sembra avvallare l’idea di proseguire il cammino verso l’ingresso in Europa. In particolare Babacan agli esteri e Şimşek a coordinare le politiche economiche del Governo, indicano la volontà di Erdoğan e quindi di Gül di non cambiare la rotta sin qui seguita. C’è un ulteriore elemento, per così dire metapolitico che può indurre attivismo: si dice che non ci sia nulla di meglio di un Governo di sinistra per fare politiche di destra. Si potrebbe dunque sostenere che non vi sia modo migliore di ottenere buone pratiche laiche, che avere un Capo dello Stato dal passato fondamentalista e una moglie con il velo. E’ difficile dire in astratto come andrà, ecco perché sarebbe utile sospendere il giudizio e attendere la Turchia alla prova dei fatti.
Fabrizio Molina
(3 settembre 2007)
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