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Le MGF tra tradizione e diritti

by Redazione

Negli Stati Uniti, in Georgia, per la prima volta un uomo di origine etiope è stato condannato a 10 anni di reclusioni riconosciuto colpevole della mutilazione genitale della figlia di due anni. È stato accusato di aggressione aggravata e crudeltà verso un minore ed è la prima volta che accade in America.
Le mutilazioni genitali femminili, la cui forma più estrema è l’infibulazione, vengono a tutt’oggi praticate in molti Paesi africani, soprattutto dell’area sub-sahariana, e in alcune zone dell’Asia. Eseguite sulle bambine, dalla tenera infanzia fino all’adolescenza, hanno delle conseguenze gravissime, sia a breve che a lungo termine, sulla salute e l’integrità fisica e psichica delle vittime. Estremamente dolorose, eseguite con strumenti inadatti e in scarse condizioni igieniche, possono causare infezioni, come pure difficoltà nel parto e una maggiore suscettibilità a contrarre il virus dell’HIV/AIDS, persino conseguentemente la morte. Queste forme tribali di iniziazione all’età adulta costituiscono consuetudini millenarie, basate su credenze religiose o superstizioni, su tradizioni e tabù, ma pur sempre praticate, ancora una volta, quale strumento di controllo sessuale e quindi sociale, espressione di una cultura patriarcale maschile, a volte passivamente accettata, se non condivisa, dalle stesse donne.
Le cifre sono preoccupanti: le MGF sono praticate sul 50% della popolazione femminile in Kenya, percentuale che sale al 72% in Etiopia e persino a circa il 90% in Sudan.

Qualcosa sta, comunque, cambiando.

In alcuni Paesi sono stati adottate specifiche norme che proibiscono questa nociva tradizione, e in altri i Governi hanno intrapreso politiche volte a scoraggiarle. Numerose sono anche le dichiarazioni a livello internazionale sull’argomento – ricordiamo la Dichiarazione del Cairo sulle norme legislative per la prevenzione delle MGF del 2003 – sottoscritte da diversi Stati africani o gli strumenti internazionali come il Protocollo alla Carta africana relativo ai diritti delle donne in Africa, adottato nel 2003 dall’Assemblea dell’Unione Africana ed entrato recentemente in vigore, dove all’art. 5 si dichiara l’illiceità di qualsiasi forma di mutilazione dei genitali femminili, prevedendo misure di protezione e di assistenza verso coloro che hanno già subito violenze di questo genere.

Ma soprattutto sta crescendo la consapevolezza dell’atrocità di queste pratiche mutilatorie tra la gente comune, principalmente grazie alla sempre maggiore diffusione di campagne educative, informative e formative sul tema. Sempre più donne prendono coscienza della propria storia, dei propri valori e tradizioni in modo critico e costruttivo; sempre più ragazze lottano per affermare il proprio diritto all’integrità fisica, a non essere menomate, mutilate, offese, ad essere donna. Oltre alla scarsa e inadeguata mobilitazione di risorse per l’emancipazione della condizione femminile, è soprattutto all’ignoranza, ai pregiudizi e alle attitudini discriminatorie, di cui le MGF sono diretta espressione, che si deve la sistematica violazione dei diritti della donna; proprio per questo l’informazione sembra essere il principale strumento di lotta a tali consuetudini.

Con i flussi migratori verso l’Occidente, il problema delle mutilazioni sessuali femminili si è, inoltre, posto anche nei Paesi di accoglienza – come mostra l’episodio citato – e dalla fine degli anni settanta molti Governi in Europa, Australia e in America del Nord hanno preso posizione, giudicando queste pratiche contrarie all’etica medica ed al diritto all’integrità della persona, arrivando a considerarle un problema di salute pubblica.
In particolare, in Italia nel 2006 è stata approvata la legge 9 gennaio 2006, n. 7 volta a dettare “tutte le misure necessario per prevenire, contrastare, reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine”.

Al di là delle tradizioni, delle credenze culturali, degli usi e costumi di un popolo che vanno rispettate e valorizzate in nome di un’effettiva e proficua coesione sociale all’interno delle comunità di accoglienza, esistono dei valori-diritti inviolabili a cui è impossibile derogare che costituiscono il c.d. “zoccolo duro” dei diritti umani universalmente condivisibili da cui non si può prescindere, tra questi vi sono indubbiamente il diritto all’integrità psichica e fisica della persona e il fondamentale valore della parità tra uomo e donna che di certo mal si coniugano con barbare pratiche quali sono le mutilazioni dei genitali femminili.

Maria Carla Intrivici

(3 novembre 2006)

Vedi la nostra campagna contro le MGF “Radio libera tutte”.

 


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