Lampedusa vuol dire…
by Redazione
Posted on Ottobre 12, 2013
Cosa resterà di questa tragedia quando la commozione sarà passata?
di Fabrizio Molina
La tragedia di Lampedusa ha sconvolto i cuori e le menti di moltissimi tra noi in Italia e all’estero. Intendiamoci, i cretini che hanno detto e scritto sui social network che faremmo meglio ad occuparci degli italiani sono sempre la maggioranza, ma è una plebaglia più isolata, più afona, più irretita dalla propria imbecillità.
Cosa ci insegna Lampedusa? Lo dicono molti analisti in questi giorni; c’è poca Europa, poca policy migratoria, quasi nessuna capacità di capire che il decremento inarrestabile delle nascite in Europa ha bisogno di buone politiche di integrazione; intendendo per buone, né razziste né buoniste. Giuste, se possibile.
Soprattutto ha ragione chi, da Napolitano in giù, dice che Lampedusa è soprattutto una storia di assenza di norme e di politiche per i rifugiati e richiedenti asilo. Dal pentolone dove sono stati messi a cuocere i mille motivi del migrare come fosse uno soltanto, a Lampedusa è uscita la più indigesta e prevedibile delle pietanze.
E’ certamente vero che l’assenza di politiche europee sulle migrazioni e sull’asilo rende Lampedusa una tragedia annunciata come le inondazioni in Campania dove si è cementato ovunque: non sappiamo quando la tragedia avverrà ma sappiamo che avverrà e dovremmo sapere anche che ce la siamo fatta con le nostre mani.
Ma mettere in mezzo l’Europa e la sua spocchiosa burocrazia che ha infinite colpe, non salva l’Italia dalla responsabilità sulle leggi non fatte (asilo) e quelle che sarebbe stato meglio non fare (Bossi-Fini). E non salva del tutto nessuna parte politica, perché la Turco-Napolitano digrignava meno i denti, non schiumava rabbia e razzismo cieco ma non andava bene lo stesso.
Ma le troppe Lampedusa che sono accadute ci dicono anche che occorre riprogettare la convivenza dalle fondamenta, avere la capacità di governare il presente mentre si mettono le basi per il futuro. Futuro che vuol dire soprattutto promuovere politiche per la scuola e le aggregazioni educative, l’integrazione e l’educazione dei giovani perché è su loro che si deve puntare perché i nostri popoli e le classi dirigenti del futuro siano, in materia migratoria, più preparati, meno razzisti, meno ignoranti, meno preda di ancestrali paure.
Non si può ignorare la terribile crisi economica che rende difficile per lo Stato e le amministrazioni territoriali trovare soldi da investire in politiche attive per l’educazione e la cittadinanza, ma occorre capire che se l’intervento sociale si limita alla prima accoglienza. E spoglia la progettazione di politiche per l’integrazione di soldi, certezze e professionalità, non si riuscirà a mettere in circolo nelle vene della società il sangue nuovo di giovani che sappiano capire, distinguere, scegliere.
Dobbiamo avere la consapevolezza che le crisi economiche possono passare e la ripresa manifestarsi, ma una o due generazioni di giovani lasciati senza cultura ed educazione civile, creano un arretramento sociale di decenni e un vuoto incolmabile.
Scrivo a pochi giorni da un mio altro articolo su Lampedusa, che ha raccolto, come giusto che sia, qualche buon giudizio e qualche critica. Per i giudizi positivi e talora affettuosi, spesso scritti da persone a me del tutto ignote, ringrazio fraternamente. Ma è ad una critica in particolare che voglio rispondere; quella che mi dice che le parole non bastano più. E’ vero, è giusto. Né può bastare rispondere che, con Nessun Luogo è Lontano, da quindici anni ci occupiamo di giovani, di ragazze e ragazzi provenienti da ogni latitudine e che a loro cerchiamo di insegnare i fondamentali della società in cui crediamo, fatta di eguali, di aspirazione alla libertà nella giustizia, nell’uguaglianza, nella pace. Tanto siamo fuori moda, noi di Nessun Luogo…, da credere al primato della parità di genere, all’impossibilità di usare la religione come presupposto di supremazia.
Perché la fede è servizio non prevalenza, men che meno prepotenza. A questo crediamo e questo abbiamo insegnato agli oltre duemila giovani passati da noi in questi anni.
Ma ha ragione il mio lettore, non basta ancora, dopo Lampedusa non può più bastare. Il suggerimento e la critica sono accettate, la sfida anche. Abbiamo deciso di provare a fare di più.
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