Dalla fondazione abbiamo continuato a ragionare di spostamenti umani, a guardarci intorno, abbiamo assistito e, per la nostra piccola parte, partecipato ad un gigantesco cambiamento della nostra società e ci siamo trovati a dovere e volere capire il mondo che cambiava. Abbiamo gradualmente compreso che stare dalla parte dei migranti vuol dire obbedire all’etica dello stare con gli ultimi: che siano i cittadini delle periferie (italiani di nascita o di destino, non importa), che siano le persone senza diritti e senza opportunità, che siano le donne a cui, ancor oggi, in molti anfratti della nostra società, è negato il più fondamentale dei diritti, quello di essere riconosciute come esseri umani in grado di autodeterminarsi. Abbiamo visto restringersi ancor più il numero degli ammessi al banchetto e crescere quello degli esclusi anche dalle briciole.
Abbiamo visto crescere i nemici di una società ordinata, autentica, giusta nella dinamica dei diritti e dei doveri e crescere almeno in egual misura i falsi amici: quelli che dicono che chi emigra, chi è povero, chi è escluso, ha bisogno di cibo e tetto, senza tante chiacchiere. I nemici li combattiamo respingendo i loro argomenti fragili colpo su colpo, ai falsi amici chiediamo che si vergognino, perché l’uomo non è solo quello che mangia e cerca una tana. Gli diciamo che se avessero sfogliato anche solo un libro di storia, saprebbero che anche il fascismo, più di ottant’anni fa, fece nascere, solo per restare al caso di Roma, quartieri come Tufello, Tiburtino III, Garbatella, Valmelaina, Portonaccio, Prenestino, Torpignattara, Pigneto, Primavalle, Centocelle, Ponte Mammolo ed altri. Ci mandava ad abitare agli immigrati di allora, i terroni (!), dava loro anche un lavoro, purché non si accostassero a Roma, la città agiata e del potere vero. Come può una coscienza democratica proporre le stesse ricette sociali del fascismo? Accade se uno non va a fondo al perché delle cose e se scambia la carità con i diritti.
Noi abbiamo cercato e cerchiamo, con tutte le nostre forze, di non smettere di farci domande, di non smettere di cercare la magagna nelle soluzioni apparentemente ben confezionate. Una su tutte: la scuola. A partire dai primi anni 90, alcuni dei governi che si sono succeduti, non hanno mai smesso di predicare e di indirizzare i giovani alle scuole professionali. Apparentemente una soluzione di buon senso, che cerca di formare i giovani per un lavoro e dio contrastare la disoccupazione. La verità è la voglia di tornare alla scuola di classe, dove i figli dei poveracci, al massimo possono fare qualche scuola professionale (durante il fascismo – e dalli che torna -, si chiamava scuola dell’avviamento); mentre le scuole che preparano a prendere in mano le leve del potere vero restano o tornano nelle stesse mani di sempre.
Capite chi abbiamo deciso di voler essere? Gente che cerca di stare nella società, spiegando ai ragazzi che devono impegnarsi, lottare, faticare per il loro futuro, ma farli riflettere che non possono essere esclusi da quel futuro perché non sono nati nella famiglia giusta o perché hanno un diverso colore della pelle. E se per riuscire devono lavorare il doppio, che lo facciano.
Abbiamo cominciato ad impegnarci in immigrazione per cercare di dare qualcosa e ci siamo accorti che moltissimo è stato dato a noi. A partire da una visione del mondo, rigorosa e larga, dove nessuno è escluso per sfortuna o per destino, dove non esistono colori della pelle giusti o sbagliati, fedi giuste o sbagliate, sesso giusto o sbagliato. Ma una pratica dell’ingiustizia che deve essere contrastata richiede un impegno totale, senza un attimo di tregua e ha bisogno di persone consapevoli, impegnate, eticamente schierate.
Concludendo questa presentazione ci accorgiamo di non aver detto granché in queste righe di quello che abbiamo fatto in 22 anni di NELL, ma potrete saperlo leggendo il sito e chiedendocelo, se vorrete. Ci pareva più importante dire con chiarezza a cosa non abbiamo mai smesso di credere.
Crediamo che l’immigrazione sia lo specchio più fedele nel riprodurre una civiltà e che l’Italia, l’Europa e tutto l’Occidente spesso avanzino lentamente e con fatica dietro un fenomeno in rapidissima evoluzione. Non solo le istituzioni e la politica, ma anche l’associazionismo e il volontariato. In questi anni abbiamo notato una grande generosità nel “fare” insieme ad una spaventosa e, a volte, consapevole arretratezza di quasi tutti gli attori in campo nel governo dell’immigrazione. Nel caso italiano, più di tutto ci colpisce il ritardo, la convenzionalità e la difesa di rendite di posizione che larga parte dell’associazionismo laico e cattolico mette in campo su questo tema.
Crediamo che il fenomeno, prigioniero di diatribe ideologiche tra accoglienza e rifiuto, apertura e richiesta di sicurezza, rallenti qualunque volontà riformatrice e ribadisca conflittualità finte: poiché un fondamentalismo, si regge in piedi solo se esiste il suo opposto. Noi, quando proponiamo innovazione in campo legislativo, economico, dei servizi e della partecipazione democratica, lo facciamo perché è ciò che vogliamo fare, che riteniamo giusto e che ci riesce meglio. Ma non solo. Lo facciamo anche perché chi dovrebbe e potrebbe, non lo fa. Per pigrizia, opportunismo o, ancora peggio, impreparazione. Per noi la politica è impegno e duro lavoro.