Khala Razia e la sua preghiera
Mi lascio cullare da quella calma immobile.
Il classico cortile interno di una dimora del Kashmir.
La luce gelida, fredda, ma allo stesso tempo intensa e potente del mese di gennaio. Una luce mattutina decisa, che sembra determinata a spazzare via ogni dubbio, ogni residuo di incertezza, avvolgendomi come in un’atmosfera da sogno.
Il lavandino nudo. Due letti, il prato, qualche alberello, e il fiorellino appena sbocciato che la cugina mi ha mostrato qualche istante prima. Tutto così semplice, tutto così aperto e lineare. Puro.
Dove sono finiti i tormenti che mi portavo dietro, assieme alle mie cose, quei tormenti che non sembravano entrare in valigia? Sembra tutto sparire, così, all’improvviso. Spazzato via dalla luce.
Mi lascio cullare, lascio liberi i miei pensieri, come cavalli selvaggi, smetto di inseguirli, che vaghino pure liberi, anch’essi, fra le stradine di Baffa, il paese natale di mio padre, che incontro, ormai adulta, per la prima volta.
Pace. Stasi. Sospensione.
Guardo l’anziana zia di mio padre, seduta sulla solita seggiolina, con la sua scialla addosso, mentre legge il Corano.
Anche lei emana pace.
Quella mattina è tutto così sospeso, con quella luce intensa dalle tonalità fredde…e penso che la dimensione in cui mi trovo è lontana anni luce da quella della mia vita quotidiana a Roma.
Quel momento effimero, legato a quello spazio, quello del giardino interno di una casa pakistana, pensato per la convivialità della famiglia, che unisce idealmente l’interno all’esterno, nella trasparenza di un’esistenza semplice, ha in sé qualcosa di estatico, quasi paradisiaco.
Una sensazione calda, con delle sfumature fredde, ma anch’esse piacevoli, che non disturbano.
Nessun’ombra di quell’ormai nota inquietudine, tutto sembra esattamente come dovrebbe essere.
Quella donna là seduta, con le sue rughe profonde, il suo viso piccolo e dolce, intenta a sussurrare versi a me del tutto sconosciuti, anche lei non sembra reale. Sembra venuta da un altrove indefinito ed indefinibile.
Una Madonna mora, con i suoi gesti cadenzati, ieratici, le sue parole solenni. Una Madonna elegante, e semplice, che, dalla sua bassa statura, esprime qualcosa di alto, troppo alto, inafferrabile. Qualcosa che va oltre la sua stessa comprensione, emanato da ogni dettaglio della sua figura. Dai suoi panni umili, alquanto logorati, ma ancora splendenti, chiari. Persino il suo pollice distrutto da un’artrosi trascurata rimanda a qualcosa di altro e di grande.
Questa donna, che chiamiamo Khala Razia, è forte. Lei è pace.
Legge un Corano ideato per bambini delle scuole primarie, perché la sua educazione si è fermata a quell’età.
Quelle lettere grandi scorrono davanti ai suoi occhi, anche se lei sa a memoria ogni versetto, ripetuto da anni, sempre nello stesso modo, sempre emanando pace. In armonia con l’universo tutto. Quei gesti, in cui, da un lontano passato ormai rimosso, confluiscono note di filosofia hindu, esprimono il ritmo dell’universo. Il suo dilatarsi e contrarsi, i suoi alti e bassi, le sue danze vorticose, a tratti eccessive, la sua calma e la sua furia, il suo tutto, la sua trama.
Guardarla è un’epifania. Sentire la sua voce gracchiante, vedere i suoi gesti ripetersi con meticolosità, una grazia quasi divina.
Eppure Khala Razia, quella piccola donna dal viso tondo e dalle mani gentili, deve essere ignara di tutto ciò.
È questo a renderla ancora più ricca di fascino.
Io e la zia non parliamo la stessa lingua, ma fra di noi sussiste un legame ancestrale, che va oltre la comunicazione verbale. Ci capiamo. Comprendo le sue benedizioni, la sua felicità di conoscere quella nipotina venuta da tanto lontano.
Esprimiamo solo attraverso lo sguardo l’eccitata curiosità, l’indefinibile brama di sapere, di conoscere, di catturare mondi a noi reciprocamente sconosciuti quanto attraenti, di cui siamo sacerdotesse silenti.
Ho bisogno di saziarmi dell’armonia di quel momento, di quella calma statica che sembra eterna. Deve essere per me un serbatoio di pace da riportare a casa, un ardente fuoco sempre acceso, come quello delle antiche sacerdotesse vestali, cui attingere quando i miei tormenti lo richiederanno.
Khala Razia, senza interrompere quello splendido spettacolo di grazia, si lascia fotografare, assolutamente indisturbata dalla fotocamera.
E ancora per un po’, mi lascio cullare da quella calma immobile.
Nilowfer Awan
Pubblichiamo il racconto Per gentile concessione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre.
Il racconto di Nilowfer Awan Khala, Razia e la sua preghiera, selezionato al Concorso letterario nazionale Lingua Madre, è stato pubblicato per la prima volta nell’antologia Lingua Madre Duemilaventi. Racconti di donne straniere in Italia a cura di Daniela Finocchi, Edizioni SEB27, Torino 2020 (© Concorso letterario nazionale “Lingua Madre” – Edizioni SEB27).
Nilowfer Awan
è nata a Roma il 16/02/1994, email: [email protected]
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