Immigrazione e diritti civili e politici: finalmente si ricomincia
by Redazione
Posted on Ottobre 21, 2009
Riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo ai cittadini stranieri non comunitari residenti in Italia da almeno cinque anni alle elezioni amministrative. È quanto previsto da una proposta di legge che porta la firma di esponenti di maggioranza e opposizione depositata ieri alla Camera dei Deputati.
Il provvedimento segue il precedente disegno di legge di modifica della legge sulla cittadinanza, anch’esso bipartisan, incentrato sulla valorizzazione dello ius soli – in contrapposizione allo ius sanguinis – temperato e condizionato dalla stabilità del nucleo familiare in Italia o dalla partecipazione del minore a un ciclo scolastico-formativo.
I due testi rappresentano indubbiamente dei passi avanti nella giusta direzione, quella dell’affermazione dei diritti civili e politici, nella prospettiva di una convivenza civile e democratica, fondata sul riconoscimento dei diritti e l’adempimento dei doveri di tutti i cittadini a prescindere della nazionalità di essi.
Proposte che se approvate, inoltre, avvicinerebbero il nostro Paese al resto dell’Europa, dove molti Stati come l’Irlanda (dal 1963), la Svezia (dal 1975), la Danimarca (dal 1981) – solo per citarne alcuni – hanno già da tempo previsto, con differenti modalità, il diritto di voto per i cittadini non comunitari.
In questo contesto, la strada da percorrere potrebbe anche essere quella della ratifica, con legge ordinaria, del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, come da tempo da noi sostenuto.
In ogni caso, occorre non fermarsi.
Le due proposte di riforma in materia di voto e cittadinanza, inoltre, vanno coordinate nel senso che devono procedere parallelamente, trovando momenti di opportuno coordinamento ed evitando, soprattutto, di subordinare il diritto di voto all’acquisizione della cittadinanza.
I diritti politici devono essere riconosciuti a chi vive stabilmente nel Paese e partecipa attivamente allo sviluppo economico e sociale della comunità, adempiendo ai doveri che gli spettano. Occorre, quindi, sancire in modo esplicito che il migrante contribuisce alla crescita della società in cui è inserito anche nel caso in cui non ne sia cittadino e/o non desideri diventarlo; la mancanza volontaria o meno di questo status, dunque, non può essere ostacolo al riconoscimento e alla fruibilità di un diritto fondamentale, qual è il voto, connesso alla sua legittima presenza sul territorio e al suo apporto alla collettività di cui è parte e che va sancito.
Il voto non risolve tutto, ma niente si risolve senza il voto.
La dinamica virtuosa dei diritti e dei doveri ha, in una democrazia liberale, il bisogno vitale dell’esercizio dei diritti, dell’effettiva partecipazione e reale rappresentanza, in una parola della manifestazione della volontà e dunque del voto.
Maria Carla Intrivici
21 ottobre 2009
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