Chiama l’Africa
by Redazione
Posted on Gennaio 11, 2010
Emmanuel Adebayor è uno dei più forti giocatori al mondo. Gioca nel Manchester City ma è africano del Togo. Era con la sua squadra ai confini con il Congo,dovevano andare a giocarsi la Coppa d’Africa; una specie di promo del prossimo mondiale di giugno in Sud Africa.
Il pulmann è caduto in mano ad una delle mille e mille combriccole di terroristi e tagliagole che infestano quel continente: è stato un massacro, poteva essere una strage.
Commentando sotto choc l’accaduto, Adebayor ha detto che l’Africa è irrecuperabile. Io non so se posso arrivare fino al punto di pensare che bisogna essere ubriachi o sotto choc per dire la verità, dico però che lo capisco. Lo capisco da italiano, intendo. L’Italia è pressoché nelle stesse condizioni.
Ragioniamo un attimo su Rosarno e sul tiro al clandestino, certamente più emozionante delle giostrine di paese degli anni 60. E ragioniamo pure su Coccaglio, il piccolo comune del nord dove il sindaco lancia l’operazione “ Bianco Natale” con l’aulico scopo di togliersi i “negri” dai piedi in occasione delle sante feste.
Questi due ultimi grani di un lunghissimo rosario di razzismo e demenza, mi fanno pensare che in Italia non siano fallite le politiche di integrazione, di coesione sociale di educazione alla legalità. Il fallimento è molto precedente e coincide con l’illusione dell’unità d’Italia. Nel 1870 i bersaglieri entrano a Porta Pia, ma non sono mai, nemmeno per un momento, entrati nel cuore della gente. E non credo che si debbano al riguardo fare degli esempi. L’Italia non è mai stata tanto asburgica, sabauda, papalina, borbonica come oggi e, in quanto nazione, non c’è, non c’è mai stata, non ci sarà mai. Ecco perché sono solidale e comprensivo con Adebayor.
Un sindaco pirla può deliberare il “Bianco Natale” senza che lo ricoverino alla neurodeliri, questo è un fatto. Come è un fatto che quanto è accaduto a Rosarno c’entra poco col razzismo e solo marginalmente con la crisi economica. Il fatto è che lo Stato riesce, all’incirca e neanche sempre, a controllare male la legalità da Chiasso fino a Monte San Biagio; ma già venti chilometri dopo, a Latina, si dissolve e comanda la mafia. Fatevi un giro sulla domiziana, o nei luoghi di Saviano, o in ogni angolo di Puglia, di Calabria, di quasi tutta la Sicilia. Le mafie hanno vinto: il loro dominio si respira come il profumo dei limoni, dei capperi e del cedro del Libano. L’unica differenza con l’Africa è che l’Italia, non essendo mai esistita, non si tratta nemmeno di recuperarla.
Fabrizio Molina
11 gennaio 2010
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