C’è solo un capitano!
Francesco, c’è solo Francesco. Solo 1 capitano. I miei amici, che sanno bene che quel capitano è Francesco Totti, così come sanno della mia inguaribile fede laziale, possono giustamente credere che io sia impazzito. Aspettate, non giungete a conclusioni affrettate. Andiamo con ordine. Essere spasmodicamente laziale non mi ha mai impedito di riconoscere la classe assoluta di Francesco Totti, il suo attaccamento alla città, alla squadra, al suo popolo. Non posso non riconoscergli la confidenza assoluta con il suo mestiere e il suo ruolo di vero capitano. Coraggioso e magnanimo. Tifare per una squadra non può significare negare l’evidenza. Per lo stesso motivo, da cattolico, non posso che cantare le gesta dell’altro capitano, dell’altro Francesco, dell’altro capo riconosciuto. Ridimensionare finalmente i capoccia di CL, di Sant’Egidio, dei Focolarini, dei Neocatecumenali ecc, mandandoli in pensione dopo massimo dieci anni di comando vuol dire amare la Chiesa, come l’altro Francesco (absit iniuria verbis), amava la Roma. Il paragone vi sconvolge? Mi dispiace, non so che farci. Un paragone è solo un paragone e serve per capire meglio. La Chiesa dopo Paolo VI è caduta preda di vari movimenti che non so se l’abbiano amata come dicevano o se abbiano amato molto più se stessi. Anche se qualche idea in proposito ce l’ho. Intendiamoci: io sono un po’ arrabbiato perché sono di quelli che hanno perso, uno di quei cattolici democratici, ora spariti, ma per molto tempo sparuti, marginalizzati, afoni. E siamo stati battuti anche molto per colpa nostra. Sempre a crederci i migliori, non ci siamo accorti che venivamo accerchiati e battuti da mezze calze molto agguerrite. Quella della Chiesa è una storia che oggi è di fronte all’ultima curva, quella definitiva. O rinasce o muore nella coscienza dei fedeli. E la domanda a cui dobbiamo rispondere non riguarda i nostri conflitti, le personali opinioni, il potere che possiamo perdere. Piuttosto dobbiamo rispondere alla domanda: ce la sentiamo? Ce la sentiamo di servire spogliandoci di tutto, ricominciando, umiliandoci per gli orrendi errori di azione e di omissione, emendandoci ripartendo dall’ultimo degli uomini dietro il quale dobbiamo metterci in fila? Ce la sentiamo? Se sì, i dieci anni che Francesco ha dato come limite ai mandati bastano e avanzano; se la risposta è no, non c’è tempo che basti e allora, vi scongiuro, toglietevi dai piedi oggi. Adesso.
In ogni caso Francesco ha fatto la cosa giusta, mettendo di fronte tutti noi alla domanda cruciale. Esattamente come l’altro Francesco, che sentiva la porta anche di spalle, anche bendato. E faceva la cosa giusta. Checché se ne dica è sempre un Francesco che risolve le cose.
Fabrizio Molina
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