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Burqa e Niqab verso il divieto

by Redazione

La questione del velo islamico continua a far parlare non solo in Italia.
In Francia, il Consiglio di Stato ha espresso delle riserve sulla costituzionalità della proposta di legge che vieta il burqa in luoghi pubblici e il Parlamento belga si appresta a votare una legge altrettanto restrittiva, prevedendo una multa pecuniaria e persino il carcere per «chi si presenta in uno spazio pubblico con il volto coperto, del tutto o in parte, in modo tale da impedirne l‘identificazione».
Anche in Italia sono stati presentati disegni di legge “anti-burqa e niqab” che vietano l’utilizzo di tali indumenti femminili attraverso una modifica della legge n. 152/1975 in materia di tutela di ordine pubblico e la Lega si prepara a proporne un altro indubbiamente nella stessa direzione.

Quella del velo è una tematica complessa e di difficile soluzione perché sono tante le implicazioni e molteplici i significati individuabili.
Il burqa, il niqab, il chador come precetto religioso in nome della libertà religiosa o come emblema islamico in nome della libertà individuale o ancora messaggio politico o simbolo di oppressione?
Il confine è labile ed è impossibile “un’univoca” definizione.
Il velo integrale ha una indubbia valenza simbolica ed è evidente l’intenzione di attribuirgli svariate accezioni, quale veicolo anche di messaggi prevalentemente di natura politica.

Nella dimensione interna dei singoli Stati europei, in effetti, emerge un particolare indirizzo politico sull’argomento. I differenti provvedimenti presentati in materia, infatti, mostrano ancora una volta una trattazione del fatto migratorio e della presenza di culture diverse in termini di sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico, con la non condivisibile tendenza all’identificazione della diversità con la pericolosità, dell’immigrazione con la criminalità. Il burqa e il divieto di indossarlo diventano, quindi, espressione di questo orientamento politico.

Ma non è solo questo.
Il velo nella tradizione islamica è un simbolo culturale che sembra essere imputabile più a scelte ideologiche che religiose. Manifestazione di una mentalità patriarcale e conservatrice, questo indumento si è sempre posto come strumento di controllo sessuale e dunque sociale, in particolare quando si è minacciati dalle novità in ambito familiare e nella sfera della sessualità. È la reazione di una cultura che teme l’emancipazione femminile, quale tramite di progresso e democrazia.

Si scontrano, però, due diversi concetti: il velo integrale quale libera scelta personale da una parte e il diritto di una donna ad essere tale dall’altra.
Il burqa, il niqab, a volte sono un’imposizione che si traduce in violenza psicologica, se non fisica, una condanna all’oblio e all’invisibilità, altre volte, è frutto di una libera scelta, un voler aggrapparsi ai propri simboli attraverso cui far passare ed affermare la propria identità; soprattutto quando si è lontani dal Paese di origine, può rappresentare l’esigenza di essere accettati nella propria specificità.
Ma come un velo che copre una donna interamente, che la imprigiona, che ne annulla l’identità può essere un atto spontaneo di volontà?
Alcune donne rivendicano il diritto al burqa come un diritto individuale, è vero, ma quanto in esse c’è la reale consapevolezza di ciò che rappresenta? E comunque, se anche questa consapevolezza ci fosse, basterebbe?

Ci si pone, a questo punto, la domanda se è giusto o meno vietare per legge l’uso del velo.
Vi sono valori e diritti, come l’uguaglianza e la parità uomo donna, dai quali non si può prescindere che non sono e non possono essere legati a relative e locali tradizioni e culture, ma che vanno affermati e riconosciuti senza condizioni per un inevitabile assetto democratico della comunità: questo è quello che deve prevalere, al di là di ogni messaggio politico o culturale si voglia esprimere.

Maria Carla Intrivici

8 aprile 2010


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