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La nuova cittadinanza verso lo jus soli

by Redazione

In Commissione Affari Costituzionali della Camera è in corso l’esame del disegno di legge bipartisan Granata (Pdl) e Sarubbi (Pd) recante nuove norme sulla cittadinanza.

Il testo della proposta prevede che il minore nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno legalmente soggiornante da almeno cinque anni e attualmente residente, possa diventare cittadino italiano, previa dichiarazione di un genitore da inserire «obbligatoriamente» nell’atto di nascita. Lo stesso accade nel caso di minori che, seppure non nati in Italia, ma che vi abbiano fatto ingresso entro il quinto anno di età, vi risiedano legalmente fino al raggiungimento della maggiore età oppure nell’ipotesi di minori che abbiano completato un percorso scolastico o professionale nel nostro Paese.
Il provvedimento, inoltre, riduce da dieci a cinque anni il periodo di residenza continuativo per l’ottenimento della passaporto italiano. Altri requisiti: il cittadino straniero deve risiedere sul territorio nazionale ed essere in possesso di un reddito non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
L’acquisizione della cittadinanza è, poi ,condizionata alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero riscontrata attraverso un giuramento di osservanza della Costituzione e di rispetto dei suoi valori fondamentali.

La proposta di modifica alla legge n. 91/1992 introduce significative novità rispetto alla normativa in vigore da non sottovalutare. Lo spirito, condivisibile, è quello di passare «dall’attuale principio dello jus sanguinis, sul quale è basata la legislazione vigente, al principio dello jus soli, temperato e condizionato dalla stabilità del nucleo familiare in Italia o dalla partecipazione del minore a un ciclo scolastico-formativo» – come si legge nella presentazione del ddl.

È, infatti, fondamentale rendere più flessibile il sistema di acquisto della cittadinanza italiana secondo il principio dello jus soli; riconoscere l’appartenenza fisica e sociale alla comunità, valorizzare l’adesione ai principi costituzionali costituiscono elementi imprescindibili per creare efficaci percorsi di inclusione sociale.
In un contesto in cui la mobilità rappresenta un fenomeno strutturale, non ha più senso ancorare i diritti di cittadinanza alla sola nazionalità di nascita. Occorre scindere questi due concetti e attualizzarli, considerando la cittadinanza nella sua dimensione pragmatica e dinamica.
Essa va intesa come status soggettivo che denota l’appartenenza ad una comunità politica e che comporta la titolarità di una serie di diritti, riconosciuti e garantiti dalla comunità medesima, in un proficuo “compromesso” tra diversità e coesione.
«Una nuova forma di cittadinanza», quindi, che leghi l’acquisto di tale diritto all’effettiva partecipazione degli individui alla vita economica, sociale e politica del Paese nonché al rilevante apporto di ciascuno allo sviluppo della società in cui si vive, sancendo l’insieme dei diritti e dei doveri che fanno di una donna e di un uomo un cittadino di questo Stato.

La necessaria e tanto auspicata riforma non deve, però, tradursi meramente in un più facile e generoso accesso alla cittadinanza: la concessione di una “cittadinanza formale” non crea inclusione e integrazione, ma, al contrario, acuisce situazioni di marginalità e, ancor più, genera disagio e malcontento.
Una nuova legge sulla cittadinanza deve, quindi, essere supportata da adeguate politiche sociali di sostegno, da interventi di regolarizzazione del mercato del lavoro, da idonee politiche scolastiche, misure volte a colmare le disuguaglianze economiche e sociali, a garantire pari opportunità di accesso, partecipazione indiscriminata, uguaglianza sostanziale, garantendo l’estensione e l’effettiva fruizione dei diritti. Operando in questa direzione viene soddisfatta l’esigenza del doppio fronte della cittadinanza intesa, al tempo stesso, come accesso e appartenenza.

Maria Carla Intrivici

22 settembre 2009


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