L’incostituzionalità del reato di clandestinità
by Redazione
Posted on Giugno 26, 2009
Si è concluso l’esame del ddl sicurezza presso le Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato e il testo passa in discussione in Aula il 2 luglio.
Il provvedimento prevede numerose modifiche al Testo Unico sull’Immigrazione, il decreto legislativo 286/1998, di cui vengono novellati 11 dei complessivi 49 articoli. Modifiche che destano non poche preoccupazioni e che sono oggetto di forti e trasversali critiche.
Sotto accusa sono, in particolare, il reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato” punito non più con il carcere, ma con un’ammenda da 5mila a 10mila euro e l’espulsione e la disposizione che elimina dalle eccezioni all’obbligo di esibizione dei documenti gli atti di stato civile o relativi all’accesso a pubblici servizi, come attualmente in vigore; si teme, infatti, che la novellata norma possa impedire l’iscrizione all’anagrafe del figlio di stranieri in posizione irregolare.
Proprio il reato di immigrazione clandestina è al centro dell’appello di ventidue giuristi, che nel documento spiegano i punti critici del disegno di legge.
La norma che punisce l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato è «una norma che, a nostro avviso, – spiegano nell’appello – oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all’uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale».
«La norma – si legge ancora nel documento – è, anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell’espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l’assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo».
Inoltre l’introduzione del reato in esame causerebbe «una crescita abnorme di ineffettività del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilità sociale e condannato per ciò alla paralisi».
L’ultima parola spetta ora al Senato.
Maria Carla Intrivici
26 giugno 2009
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