Immigrazione e convivenza nelle aree metropolitane. Un nuovo modello di città
by Redazione
Posted on Settembre 28, 2006
Il “muro” di Padova non è di cemento come quello di Berlino, è solo un muro di lamiera, lungo circa 100 metri, ma ha la stessa funzione di separare due realtà, da una parte gli italiani, dall’altra gli extra-comunitari.
In realtà rallenta gli spostamenti degli spacciatori – senegalesi o marocchini – e dei clienti italiani, non serve certo a proteggere gli abitanti del quartiere dal “ghetto degli immigrati”.
Il ghetto preesisteva al muro, non lo ha creato, e situazioni abitative come quelle di Padova, anche a causa degli affitti difficilmente accessibili e ai fattori di discriminazione, rischiano di moltiplicarsi.
La crisi dei modelli di integrazione di Francia e Gran Bretagna si è manifestata nei sistemi urbani, i disordini nelle banlieues francesi ne sono una testimonianza eclatante.
L’Italia Paese dalle molteplici realtà urbane presenta problemi diversi dalle megalopoli europee ed internazionali, ma il caso del “muro anti-spaccio” di Via Anelli a Padova ci interroga sul futuro delle nostre città centri di attrazione dei lavoratori migranti, spesso costretti a vivere in luoghi periferici e abbandonati che si trasformano in ghetti.
Dal Nord al Sud, percorrendo anche pochi chilometri, si trovano alcuni esempi di integrazione urbanistico abitativa e di degrado (nella prospera Emilia: il ghetto di Sassuolo ed i casali di Nonantola).
Come nascono i ghetti? I ghetti nascono dalla disgregazione sociale, dallo stratificarsi di diversi disagi sociali, dalle difficoltà di convivenza con i “nuovi arrivati”, da strutture edilizie ed urbanistiche che creano situazioni abitative inumane; dalla mancanza di piazze, di servizi sociali. Come dimostrano gli studi di urbanistica non è solo l’alta concentrazione di extracomunitari la causa del degrado.
Le facili soluzioni prospettate dagli stessi amministratori e amplificate dai media riguardano l’ordine pubblico, non ultime la proposta dei vigili urbani extracomunitari o in tenuta da combattimento con armi o manganelli.
In Emilia le iniziative finanziate dalle amministrazioni locali, fondate su un progetto di coesione sociale, accompagnate da servizi sociali e diritti, danno i loro frutti. Dai Contratti di quartiere di Modena e in altri centri, che hanno consentito di acquisire appartamenti e di ristrutturarli, ai servizi sociali a Nonantola.
Ragionare sul senso di una città progettando non solo blocchi edili ma spazi collettivi significa guardare da una prospettiva diversa a partire dalle relazioni sociali e dai flussi umani di una metropoli.
E’ più facile costruire barriere, invocare la tolleranza zero affrontando queste situazioni come un problema di ordine pubblico. D’altra parte i processi socio-economici senza una serio patto di convivenza non conducono all’integrazione ma possono creare dei corto-circuiti pericolosi nei ghetti delle nostre città.
Ripensare le politiche pubbliche urbane che coinvolgano i vari soggetti consentirebbero di assecondare le esigenze del territorio favorendo il suo sviluppo e un reale processo di integrazione.
Dario Porta
(28 settembre 2006)
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