Quartiere Braida un “pezzo di non città”
by Redazione
Posted on Marzo 1, 2006
Domenica scorsa, in pieno giorno, a Sassuolo, due carabinieri in divisa e un poliziotto in borghese hanno picchiato un immigrato. Lo straniero di nazionalità marocchina era ubriaco e dava in escandescenza. Di fronte ad una sua resistenza, i tre uomini hanno reagito colpendolo ripetutamente con violenza, persino saltandogli sul busto una volta caduto a terra.
Ci troviamo in quartiere periferico della città, il quartiere Braida, una zona “difficile”, che, pensata anni fa per gli immigrati meridionali, oggi ospita stranieri di provenienza non comunitaria.
Si tratta di una realtà – non diversa da tante altre in Italia e non solo – che potremmo definire “un pezzo di non città” da cui lo Stato, che dovrebbe intervenire per “integrare”, per comporre i conflitti, invece, arretra facendo ricorso all’unico strumento che gli rimane: l’atto di forza, la repressione. Tanta violenza è, quindi, solo la conseguenza di uno status di debolezza dell’autorità che non è più presente, è espressione del fallimento di un modello di convivenza urbana che rimuove tutto ciò che non riesce a risolvere e che porta alla ineluttabile creazione di questi “pezzi di non Stato”.
A ciò si aggiunge l’inevitabile scontro tra il malessere della comunità islamica e l’insurrezione dei residenti italiani che la vicenda ha provocato. In una situazione di degrado e povertà, in cui l’autorità è sempre meno presente, episodi di questo tipo contribuiscono a generare ulteriore ostilità, odio, paura rischiando di spezzare degli equilibri già fragili e questo soprattutto in un contesto locale, nazionale e perchè no internazionale sempre più “precario”.
Il pericolo che si vada inarrestabilmente verso la “banlieuizzazione” delle periferie è sempre più incombente, processo che può essere arrestato solo con una maggiore presenza dello Stato in termini sia di ridistribuzione dei diritti civili che di riequilibrio delle opportunità.
Si tratta di una realtà – non diversa da tante altre in Italia e non solo – che potremmo definire “un pezzo di non città” da cui lo Stato, che dovrebbe intervenire per “integrare”, per comporre i conflitti, invece, arretra facendo ricorso all’unico strumento che gli rimane: l’atto di forza, la repressione. Tanta violenza è, quindi, solo la conseguenza di uno status di debolezza dell’autorità che non è più presente, è espressione del fallimento di un modello di convivenza urbana che rimuove tutto ciò che non riesce a risolvere e che porta alla ineluttabile creazione di questi “pezzi di non Stato”.
A ciò si aggiunge l’inevitabile scontro tra il malessere della comunità islamica e l’insurrezione dei residenti italiani che la vicenda ha provocato. In una situazione di degrado e povertà, in cui l’autorità è sempre meno presente, episodi di questo tipo contribuiscono a generare ulteriore ostilità, odio, paura rischiando di spezzare degli equilibri già fragili e questo soprattutto in un contesto locale, nazionale e perchè no internazionale sempre più “precario”.
Il pericolo che si vada inarrestabilmente verso la “banlieuizzazione” delle periferie è sempre più incombente, processo che può essere arrestato solo con una maggiore presenza dello Stato in termini sia di ridistribuzione dei diritti civili che di riequilibrio delle opportunità.
(1 marzo 2006)
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