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Il diritto di voto: una questione di democrazia

by Redazione

Gli stranieri regolarmente presenti in Italia sono 2.740.000 e rappresentano il 9% della forza lavoro, contribuendo a circa il 6% del PIL.
Le nostre scuole accolgono 360 mila alunni non cittadini italiani provenienti da 187 paesi del mondo che costituiscono il 4% della popolazione scolastica complessiva.
Questi dati testimoniano una presenza consistente e diffusa di cittadinanze sul territorio nazionale, ma, al contempo, interrogano anche sulla capacità del nostro sistema a comprendere e rispondere adeguatamente alle profonde trasformazioni che la nostra società sta vivendo.
Il fenomeno migratorio non è più una “realtà di passaggio”, ma è, ormai, strutturale al contesto nazionale, è parte del tessuto connettivo locale.
Si tratta di donne e uomini che vivono e contribuiscono costantemente allo sviluppo socio-economico del nostro paese, uomini e donne a cui la legge attribuisce doveri, ma ben pochi diritti.
Il diritto di voto per esempio, ancora non riconosciuto nonostante tutto.
Al riguardo giacciono in Parlamento diversi progetti di riforma costituzionale, destinati a decadere con la fine della legislatura, e molte sono le iniziative di modifica dei propri statuti da parte di enti locali al fine, tramite tale modifica, di estendere l’elettorato attivo e passivo agli stranieri (ricordiamo da ultimo l’intervento in tal senso della provincia di Pisa), ma ancora nessun risultato concreto è stato raggiunto.
E questo diversamente da quanto accade in Europa dove alcuni paesi hanno già aperto i loro seggi, seppure con modalità differenti, ai cittadini immigrati.
Il tema della rappresentanza nonché quello della effettiva partecipazione, ambito in cui non ci si può limitare a mere forme surrogate, non solo rappresentano un aspetto centrale delle politiche di inclusione, ma anche e soprattutto costituiscono tappe imprescindibili per l’affermazione di  fondamentali concetti per uno Stato liberale.

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