Necessaria una strategia nuova contro le nuove forme di schiavismo lavorativo
by Redazione
Posted on Maggio 22, 2016
immigrazione, lavoro in nero, rifugiati, Sfruttamento sessuale, Tratta
Intervista a Giuseppe Casucci, coordinatore nazionale UIL del Dipartimento politiche Migratorie (nonché vicepresidente di NELL e del Cir). L’intervista andrà in onda domenica 29 maggio, sulle onde di Radio Inblu- 96.3 FM Roma, prima dell’Angelus di Papa Francesco. InBlu è un progetto radiofonico nazionale di ispirazione cristiana al servizio delle emittenti presenti sul territorio. Per info http://www.radioinblu.it/.
Domande rivolte dopo il Seminario UIL del 3 maggio su “Piano Nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento lavorativo”.
RiB: Può brevemente accennare in cosa consiste il piano nazionale del Governo contro la tratta e grave sfruttamento?
C. Si tratta di un dispositivo adottato dal Governo a febbraio scorso, volto a coordinare leggi e provvedimenti in materia di contrasto al traffico di persone, al fine di elaborare una strategia di efficace contro questa grave piaga. Il piano applica in ritardo una direttiva europea – la n. 36 del 2011. È stato adottato, a norma dell’articolo 9 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, al fine di definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento degli esseri umani, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all’emersione e all’integrazione sociale delle vittime. Il piano è propedeutico alla emanazione del nuovo programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale e le relative modalità di attuazione e finanziamento. Per il momento ci sono € 9 milioni di finanziamento a disposizione.
RiB Secondo lei questo piano sarà adeguato a combattere questa piaga?
C. Speriamo certamente che sia di aiuto: in questo senso abbiamo chiesto al Governo che le parti sociali facciano parte della cabina di regia che coordinerà l’attuazione del piano. Certo la legislazione non manca per combattere il traffico e sfruttamento delle persone. Sono, però, gli strumenti di controllo a scarseggiare. Così è stato per l’applicazione della direttiva 52 del 2009 (sfruttamento manodopera straniera irregolare) e la legge sul caporalato ferma da mesi al Senato. Mancano i mezzi e le risorse per le ispezioni. Inoltre la normativa ha preso in un certo senso la mira sbagliata. Mi spiego: essa è mirata a indurre i migranti irregolari a denunciare i datori di lavoro sfruttatori, in cambio di un permesso di soggiorno umanitario. Ma il mercato del lavoro negli ultimi anni è cambiato: oggi a lavorare nel sommerso ci sono in numero crescente italiani, lavoratori comunitari est europei e rifugiati: gente cioè che il permesso già ce l’ha o non ne ha bisogno. Voglio dire, che si può essere regolari formalmente, ma essere sfruttati gravemente lo stesso. Le vittime, cioè, non denunciano, non solo perché hanno paura dei propri aguzzini, ma anche perché la legge non da’ tutele adeguate. Il premio del permesso a chi denuncia non convince nessuno. Ed infatti ci sono state solo alcune decine di denunce negli ultimi due anni. Praticamente nulla. Nel caso della tratta per motivi sessuali c’è l’art. 18 del Dlgs 286, ma anche lì i risultati sono molto scarsi.
RiB Qual è la situazione in Italia del fenomeno della tratta e se possibile quantificarlo statisticamente.
C. Per quanto riguarda la tratta vera e propria sono state registrate solo 6500 vittime fino al 2013, ma si calcola che siano dalle 50 alle 70 mila persone. Per quanto riguarda il lavoro nero ci sono cifre superiori a 400 mila lavoratori sommersi solo in agricoltura, di cui almeno 100 mila sarebbero gravemente sfruttati. In realtà settori come l’edilizia, commercio, servizi alla persona, l’industria, oltre che agro alimentare, registrano nero o grigio superiore al 60 % in alcune aree. E questo non avviene solo al Sud ma anche al moderno Nord Italia. Solo di stranieri a cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno per mancanza di lavoro si parla di 300 mila persone. Questi immigrati un po’ se ne sono andati, ma la maggioranza è finita nel sommerso.
RiB Ci sono delle buone pratiche sull’emersione dalle nuove forme di schiavitù?
C. Il sindacato e tantissime associazioni sono impegnate in questo meritorio lavoro: potrei citare la UILA confederazione UIL che si occupa di agro alimentare, ma anche la Flai Cgil e associazioni quali Parsec, Slave no more e molte associazioni cattoliche.
Come sindacati lavoriamo sul piano delle tutele delle persone, offrendo assistenza legale e contrattuale a chi ne faccia richiesta. “La cosa di cui andiamo orgogliosi è che, come Uila nazionale, a partire dal 9 dicembre 2015, in quattro comuni siciliani (Mascali, Adrano, Paternò e Catania) abbiamo finanziato un progetto con Oxfam Italia Intercultura per realizzare servizi di formazione e informazione per i migranti della provincia catanese. Solo nella provincia di Catania, secondo i dati, sono 31.786 i migranti residenti provenienti da Romania, Srilanka, Marocco, Repubblica Popolare Cinese. Abbiamo fatto formare 4 operatori della Uila; Oxfam ha messo a disposizione 9 mediatori culturali, formati anch’essi grazie al progetto, che lavorano per il sostegno per la compilazione dei documenti di soggiorno per la cittadinanza, i ricongiungimenti familiari, orientamento scolastico, orientamento al lavoro, uno sportello anti discriminazione e da qualche settimana sono partiti i corsi di italiano, intanto per 15 donne di origine marocchina, a Mascali. Abbiamo anche avviato il sostegno extrascolastico per i loro figli.
Come sindacato dobbiamo svolgere vari ruoli: di denuncia e, contemporaneamente, di proposta per sensibilizzare le istituzioni su tale tema; il ruolo che possiamo svolgere come sindacato è sul versante contrattuale perché ci siano delle tutele specifiche per questi lavoratori e lavoratrici e, infine, provare a mettere a disposizione le nostre strutture, i nostri funzionari, le persone più qualificate che abbiamo per dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che spesso arrivano nel nostro Paese dopo viaggi drammatici.
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