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In quei visi la nostra speranza

by Redazione

Spero che nell’ultimo week end abbiate comprato i giornali, che li abbiate letti e, soprattutto, sfogliati. C’è il pianto disperato senza lacrime del soldato turco che raccoglie il bambino riverso bocconi sul bagnasciugae morto per colpa nostra. Un omone di quasi due metri ripiegato su se stesso da quell’orrendo dolore. Il suo essere padre, uomo, soldato sembra annichilito e noi con lui. Un omone immenso che regge un corpicino sparuto come quello di un cucciolo di gatto e che lascia trasparire una pietas che molti sembrano aver dimenticato.

Ma è sui giornali di domenica la scoperta incredibile, l’ebbrezza del mai sognato, mai raggiunto, non più sperabile. La Buona Novella narrata per immagini, con foto di migranti che si abbracciano e ridono, sorridono, non in grado di porre alcun argine alla speranza che impensabilmente li avvolge, li attraversa, li esalta. La Germania li accoglie come profughi e, soprattutto, come esseri umani. Li accoglie l’Austria, prende coraggio l’Italia, annaspa Cameron, saltella felice Hollande. In un attimo sembra che tutto possa cambiare, che tutto cambi davvero. Sembra che l’Europa declinante e disperata, l’Europa che chiudendo fuori gli immigrati chiude se stessa nello sgabuzzino buio della storia, l’Europa dove i bambini non nascono più per l’afasia degli spermatozoi che per le paranoie delle giovani coppie, in questa Europa qui, pare che tutto ricominci.

La Germania che con la decisione di accogliere i profughi, uccide finalmente lo spettro dei fantasmi della propria storia, l’Europa cristiana che ha la possibilità, se saprà capire Francesco, di implorare quel perdono al mondo, di cui ha assoluto bisogno. E ancora il nord Europa troppo ricco e codardo, la furba Inghilterra, il mediterraneo europeo piagnone e inaffidabile.

Tutti abbiamo, senza meriti particolari, una nuova opportunità. Ce la danno i migranti, quelli che lasciandosi aiutare ci permettono di trovare la forza e la spinta di percorrere un miglio ancora. E poi si vedrà.

Fabrizio Molina


In quei visi la nostra speranza

by Redazione

Spero che nell’ultimo week end abbiate comprato i giornali, che li abbiate letti e, soprattutto, sfogliati. C’è il pianto disperato senza lacrime del soldato turco che raccoglie il bambino riverso bocconi sul bagnasciugae morto per colpa nostra. Un omone di quasi due metri ripiegato su se stesso da quell’orrendo dolore. Il suo essere padre, uomo, soldato sembra annichilito e noi con lui. Un omone immenso che regge un corpicino sparuto come quello di un cucciolo di gatto e che lascia trasparire una pietas che molti sembrano aver dimenticato.

Ma è sui giornali di domenica la scoperta incredibile, l’ebbrezza del mai sognato, mai raggiunto, non più sperabile. La Buona Novella narrata per immagini, con foto di migranti che si abbracciano e ridono, sorridono, non in grado di porre alcun argine alla speranza che impensabilmente li avvolge, li attraversa, li esalta. La Germania li accoglie come profughi e, soprattutto, come esseri umani. Li accoglie l’Austria, prende coraggio l’Italia, annaspa Cameron, saltella felice Hollande. In un attimo sembra che tutto possa cambiare, che tutto cambi davvero. Sembra che l’Europa declinante e disperata, l’Europa che chiudendo fuori gli immigrati chiude se stessa nello sgabuzzino buio della storia, l’Europa dove i bambini non nascono più per l’afasia degli spermatozoi che per le paranoie delle giovani coppie, in questa Europa qui, pare che tutto ricominci.

La Germania che con la decisione di accogliere i profughi, uccide finalmente lo spettro dei fantasmi della propria storia, l’Europa cristiana che ha la possibilità, se saprà capire Francesco, di implorare quel perdono al mondo, di cui ha assoluto bisogno. E ancora il nord Europa troppo ricco e codardo, la furba Inghilterra, il mediterraneo europeo piagnone e inaffidabile.

Tutti abbiamo, senza meriti particolari, una nuova opportunità. Ce la danno i migranti, quelli che lasciandosi aiutare ci permettono di trovare la forza e la spinta di percorrere un miglio ancora. E poi si vedrà.

Fabrizio Molina


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