Giovani, bravi e coraggiosi: italiani in fuga verso l’Inghilterra
by Redazione
Posted on Giugno 21, 2014
disoccupazione, Emigrazioni, giovani, lavoro, Massimo Livi Bacci
Questo interessante articolo di Massimo Livi Bacci, docente di demografia, alla Facoltà di Scienze politiche dell’università di Firenze è stato pubblicato il 18 giugno dal sito “Neodemos.it- popolazione, società e politiche.” Con il titolo “Italiani verso la Gran Bretagna”.
Nello scorso mese di Gennaio, l’Istat ha reso noti i dati sui trasferimenti di residenza (dall’estero e per l’estero) secondo la nazionalità, relativi al 2012, desunti dalle anagrafi comunali. Nel 2012 si è percepito il morso della crisi: il saldo per i cittadini stranieri ha continuato ad essere largamente positivo (+ 283.000), ma in calo rispetto all’anno precedente (+322.000) per una diminuzione delle iscrizioni e un aumento delle cancellazioni. E ancora più evidente è stato il segno della crisi per i cittadini italiani, con un saldo negativo più che raddoppiato (da -19.000 nel 20112 a – 39.000 nel 2012). Nel contempo, è aumentato anche il numero delle nuove iscrizioni dei cittadini italiani all’AIRE (Registro anagrafico degli Italiani all’estero). Purtroppo i dati vengono comunicati con cadenza annuale, mentre sarebbe assai utile avere qualche anticipo mensile o trimestrale per cogliere l’evoluzione della congiuntura migratoria. Tuttavia diversi altri indicatori parziali ci suggeriscono che la migrazione degli italiani verso l’estero potrebbe aver accelerato il ritmo nel 2013 e nella prima parte del 2014. E’ un fenomeno che riguarda in forte prevalenza l’Europa: circa la metà degli emigrati si dirige verso le destinazioni tradizionali, nell’ordine Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia. Non c’è da sorprendersi: le ultime statistiche ci dicono che la disoccupazione italiana (al 13%), è più che doppia di quella tedesca e quasi doppia di quella britannica, e le difficoltà economiche sembrano avere la meglio sulla vischiosità del mercato “unico” del lavoro europeo, caratterizzato dalla bassa mobilità tra stati diversi.
Ecco NINo: un indicatore prezioso
Il National Insurance Number (NINo), in Gran Bretagna, ha più o meno la funzione del codice fiscale in Italia. Per ogni persona adulta, NINo è indispensabile per un’assunzione, per ricevere un pagamento, per avere rapporti col fisco o con gli organi previdenziali. Viene concesso con relativa facilità a chi ne faccia richiesta ed esibisca un valido documento di identità. Una volta assegnato, rimane al titolare per la vita. Il DWP (Department for Work and Pensions) del sistema statistico britannico pubblica regolarmente una statistica sull’assegnazione dei NINo, per trimestre, secondo il paese di nazionalità del richiedente e per altre interessanti caratteristiche. Le nuove assegnazioni di NINo sono solo una proxy dell’immigrazione: per esempio, il NINo non si perde, e se si torna in patria e poi si riemigra in Gran Bretagna non c’è bisogno di chiederlo una seconda volta; l’immigrato può non averne bisogno, perché benestante, o accompagnatore di altro migrante; l’assegnatario del NINo può permanere in Gran Bretagna solo per un breve o brevissimo periodo, oppure non utilizzarlo per nulla perché rientra subito nel paese di origine. Ma l’andamento dei NINo è certamente correlato con l’immigrazione, per quanto riguarda sia le tendenze di fondo sia le oscillazioni congiunturali.
Cresce l’emigrazione dal Sud Europa verso la Gran Bretagna
Facendo tesoro delle cautele sopra ricordate, si può desumere l’andamento della concessione dei NINo per i quattro paesi Mediterranei, dal 2002 al 2013. Il numero totale (per tutte le provenienze) nel dodicennio considerato è esattamente raddoppiato; tuttavia esso è cresciuto di 3-4 volte per Grecia e Portogallo, di 5 volte per la Spagna e di quasi 7 volte per l’Italia. Nel 2002 il 10% dei NINo era assegnato a cittadini dei 4 paesi, nel 2013 ben il 20%. La vera impennata dei NINo – sempre di stranieri si parla – si è avuta, però, nell’anno terminante nel marzo 2014, con un aumento del 19% all’anno precedente per il totale; il record di aumento tra i paesi europei maggiormente rappresentati (esclusi Romania e Bulgaria il cui balzo in avanti deriva dall’abolizione della moratoria all’emigrazione imposta al momento dell’accessione alla UE) compete all’Italia (+28%), seguita dalla Polonia (+12%) e dal Portogallo (+11%). Si noterà però che il numero dei NINo, proporzionalmente alla dimensione demografica del paese di origine, è più alto per Spagna, Portogallo e Grecia che non per l’Italia. Purtroppo fonti analoghe così precise e tempestive non esistono – a nostra conoscenza – per gli altri Paesi Europei, maggiori destinazioni degli Italiani. Esiste un’evidenza aneddotica di un rafforzamento dei flussi, particolarmente verso la Germania: nel 2012 gli arrivi di Italiani sono aumentati del 40% sul precedente anno, e notizie di agenzia affermano che un analogo incremento si sarebbe verificato anche nella prima metà del 2013. Si tratta di persone giovani (non è certo una sorpresa), con buoni livelli di formazione, prevalentemente molto mobili. Anche questo non stupisce: la maggior parte dei giovani è altamente scolarizzata e chi migra è – per definizione – mobile ed aperto a nuove esperienze. Lo scorso anno, una lunga indagine a puntate sullo Spiegel così sintetizzava l’argomento: “Una nuova generazione di immigrati molto qualificati dal Sud e dall’Est Europeo è alla ricerca di un futuro in Germania. Giovani, bene istruiti e multilingue, sono esattamente ciò di cui l’economia tedesca necessita per avere successo nel futuro. Il Paese ha il cammino tracciato, se intende trattenere questi giovani “dono della Provvidenza”.
Congiuntura o struttura?
Come interpretare il forte aumento dell’emigrazione intra-europea negli anni peggiori della crisi dall’Italia, dal Sud e dall’Est dell’Europa? Si tratta di un aumento congiunturale – una risposta classica, alle situazioni di difficoltà – destinato a riassorbirsi con un ritorno alla crescita? Oppure si tratta di una reazione alla crisi che – però – ha rotto anche quelle barriere sociali, psicologiche e anche burocratiche che impedivano ai mercati del lavoro dei vari paesi UE di comunicare tra loro? In questo caso, la crisi avrebbe fatto compiere all’Europa un balzo in avanti verso una più effettiva integrazione, funzionale ad un mondo giovanile meno provinciale ed autarchico di quello proprio delle generazioni più mature.
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