Restare o partire?
by Redazione
Posted on Marzo 18, 2014
Sul sito www.neodemos.it (Popolazione, società e politiche) è apparsa questa interessante riflessione sull’immigrazione non comunitaria in Italia e i recenti (inattesi?) sviluppi del fenomeno. Gli autori dell’articolo (titolo originario “Should I Stay or should I go? L’immigrazione non comunitaria in Italia”), che pubblichiamo per intero, sono Cinzia Conti e Salvatore Strozza, che scrivono a titolo personale senza coinvolgere le istituzioni di ricerca e studio per le quali lavorano (rispettivamente Istat e Dipartimento di Scienze Politiche Università di Napoli Federico II).
Allargamento dell’Unione europea e libera circolazione dei suoi cittadini sono due eventi che nel 2007 hanno contribuito in modo significativo a rafforzare la distinzione tra migrazioni interne all’area comunitaria e migrazioni provenienti da Stati esterni all’Unione. Per l’Italia l’esempio maggiormente esplicativo è quello della Romania, principale Paese di provenienza degli immigrati, che aderisce all’Ue dall’inizio del 2007: dopo alcune settimane, i suoi cittadini beneficiano della libera circolazione non avendo più bisogno del permesso per vivere nel Bel paese.
Nonostante queste novità degli ultimi anni, l’immigrazione di cittadini non comunitari continua a essere di grande rilievo, specie in alcune realtà italiane. Al 1° gennaio2013 i cittadini non comunitari erano più di 3 milioni e settecentomila, poco meno dei tre quarti del totale degli stranieri registrati in Italia. Si tratta di una presenza composita per caratteristiche e progetti migratori. “Should I stay or should I go?” recitava una canzone degli anni Ottanta. Così l’immigrazione da Paesi non comunitari sembra sospesa tra una componente ormai stabile sul territorio e un’altra, invece, ancora instabile e, in alcuni casi, stagionale. Questo tipo di situazione appare destinato a essere rafforzato dall’attuale indirizzo politico seguito sulle migrazioni di cittadini non comunitari.
Chi resta: sempre meno presenze a termine?
L’immigrazione non comunitaria non deve essere considerata più instabile di quella comunitaria. L’Istat ha diffuso il dato sui soggiornanti di lungo periodo. Ormai oltre la metà dei cittadini non comunitari regolarmente presenti in Italia (circa 2 milioni, il 54% del totale della popolazione non comunitaria regolarmente soggiornante) ha un permesso a tempo indeterminato (Prospetto 1). Appare questo un indubbio segnale della stabilizzazione della presenza sul territorio, e forse è anche una indicazione da non trascurare del livello della qualità di vita raggiunto da molte delle persone immigrate. La normativa vigente prevede, infatti, che lo straniero per richiedere un permesso di soggiorno di lungo periodo, oltre ad essere in Italia da almeno cinque anni, abbia un reddito e un alloggio considerati adeguati per vivere nel nostro Paese. Deve inoltre superare un test di conoscenza della lingua italiana o comunque attestarne la padronanza.
Per quanto riguarda la graduatoria delle collettività che usufruiscono maggiormente di questa particolare tipologia di soggiorno non ci sono differenze significative da quella relativa al totale dei soggiornanti. I Marocchini precedono gli Albanesi a cui seguono nell’ordine Cinesi, Ucraini e Tunisini. Questi ultimi guadagnano tre posizioni in graduatoria e arrivano a superare anche i Moldavi, che rappresentano la collettività di più recente insediamento con un incremento relativo importante negli ultimi anni.
Tra i soggiornanti di lungo periodo, come nelle attese, il rapporto tra i sessi risulta, per tutte le nazionalità, più equilibrato rispetto a quanto riscontrato tra i titolari di un permesso “a termine”, unica eccezione è quella degli Ucraini – collettività molto sbilanciata al femminile – che proprio tra i lungo soggiornanti fanno registrare una prevalenza femminile ancora più ampia. In generale anche la quota di minori è più elevata rispetto a quella rilevata tra i possessori di un permesso a termine. L’importanza dei minorenni è particolarmente ampia tra gli Egiziani (39,8%), i Tunisini (38%) e i Marocchini (36,4%), gruppi nazionali con una più lunga storia migratoria verso l’Italia e con una fecondità più elevata rispetto a quella osservata per molte altre comunità immigrate. Tra i lungo soggiornanti appare maggiore anche la proporzione di coniugati (46,3% contro 38,4%)..
La percentuale di soggiornanti di lungo periodo sul totale dei soggiornanti va dal 39,5% delle Isole al 60,3% del Nord-est . Nel Nord-ovest si attesta intorno al 56,6%, arriva al 50% al Centro e al 42,3% al Sud. Anche se in generale si registra un’incidenza generalmente più elevata nelle aree del Centro-Nord, la distribuzione territoriale dei soggiornanti di lungo periodo non coincide completamente con quella dei soggiornanti con permesso con scadenza. Le regioni che registrano le incidenze più elevate di soggiornanti di lungo periodo sono, nell’ordine: Trentino-Alto Adige, Veneto e Marche che si collocano tutte oltre il 60%. Non sono le grandi province a registrare le quote più elevate, ma province come Bolzano, Pistoia, Biella, Brescia e Sondrio, dove la quota di soggiornanti di lungo periodo supera il 67%. Nelle province di Firenze (48,1%), Roma (43%) e Napoli (35,7%) tale incidenza è molto contenuta rispetto alla media. Anche Milano con il 50,9% si colloca sotto la media nazionale (54,3%). Si può ipotizzare che la vivace dinamica migratoria che interessa i grandi centri, dimostrata dalla centralità delle province di Roma, Napoli e Milano per i nuovi flussi, comporti una minore rilevanza relativa della componente stabile non comunitaria. Si tratta di ulteriori indizi a favore dell’ipotesi secondo la quale in molti casi i grandi centri urbani fungano principalmente da poli di richiamo e di primo insediamento, anche per la presenza di più fitte reti formali e informali di sostegno e accoglimento, ma che spesso il radicamento sul territorio passi attraverso lo spostamento in realtà demografiche di minori dimensioni in cui costi più contenuti dell’abitazione e dei servizi possono assicurare migliori condizioni di vita e maggiori possibilità di integrazione.
Non mancano i nuovi arrivi
Durante il 2012 sono stati rilasciati quasi 264 mila nuovi permessi, il 27% in meno rispetto all’anno precedente in cui si registravano 361.690 nuovi ingressi. La diminuzione ha interessato più gli uomini (-33%) delle donne (-19,5%), per le quali invece tra il 2010 e il 2011 si era registrato un calo più rilevante. Il rapporto tra i sessi nei nuovi flussi risulta più equilibrato nell’ultimo anno: le donne passano a rappresentare, dal 44,1% del 2011, il 48,7% degli ingressi nel 2012.
Sono ancora i nuovi permessi per lavoro a ridursi in maniera più evidente: il 43,1% in meno rispetto al 2011. Quelli per famiglia sono scesi invece del 17% e quelli per altri motivi del 21%. All’interno di quest’ultima categoria sono diminuiti soprattutto i permessi per motivi umanitari e asilo per i quali durante il 2011 si era registrato un picco “storico”; i permessi per studio sono invece rimasti sostanzialmente stabili .
Se osservati in un periodo più lungo di cinque anni i cambiamenti riguardanti i flussi migratori in ingresso sono ancora più evidenti. Nel 2007 gli arrivi per lavoro erano nettamente prevalenti e molto più consistenti in valore assoluto: 150.098 rispetto ai 70.892 di oggi. Dal 2007 al 2012 sono invece notevolmente cresciuti i permessi per famiglia (da 86.468 a 116.891), diventando la modalità prevalente di accesso al territorio Italia; anche i permessi per studio e per asilo e motivi umanitari sono cresciuti tra il 2007 e il 2012.
Nei cinque anni considerati non solo sono cambiati i motivi per i quali si entra in Italia, ma è anche cambiata la struttura per sesso ed età dei nuovi ingressi, con un peso sempre maggiore dei minorenni. Per gli uomini si evidenzia una minore rilevanza di giovani tra i 20 e i 30 anni. Per le donne si registra invece un peso maggiore – nel 2012 rispetto al 2007 – per la classe di età tra i 20 e i 25 anni e una minore importanza relativa delle donne oltre i 30 anni e soprattutto sopra i 40 e 50.Per Diminuisce anche il lavoro stagionale, con un numero di nuovi permessi che passa da 15.426 nel 2011 a 9.950 nel 2012.
Nella graduatoria delle prime dieci cittadinanze per numero di ingressi si mettono in luce sostanziali differenze rispetto all’anno precedente. Il primato nel 2012 spetta alla Cina con 25.211 ingressi, seguita dal Marocco (21.585) e dall’Albania (18.889). Gli Stati Uniti d’America diventano la quarta nazionalità per numero di nuovi permessi: si tratta infatti di un flusso che, nella generale diminuzione, si è mantenuto costante (oltre 14.000 persone); si tratta perlopiù di ingressi che avvengono per motivi di studio (oltre il 50%) (Prospetto 2). Rientra nella graduatoria l’Egitto – che ne era uscito l’anno precedente – e si colloca al sesto posto; per gli egiziani si registra un’elevata quota di permessi per lavoro (40%), ma anche di ingressi per asilo e motivi umanitari (7%) Notevole durante l’anno il flusso dal Pakistan (9.599 nuovi permessi) che occupa il settimo posto con una quota molto elevata di nuovi entrati per asilo o motivi umanitari: quasi il 31%. Arretra la Moldova (8.808 ingressi) che si colloca al decimo posto, mentre esce dalla graduatoria – diventando undicesima – la collettività ucraina.
La riduzione dei nuovi flussi interessa soprattutto le aree settentrionali del Paese e in particolare il Nord-ovest (meno 32,5% rispetto all’anno precedente). Diminuzioni più contenute hanno interessato il Sud (-29,5%) e il Nord est (-26,3%). Il Centro è la ripartizione che registra la contrazione più contenuta (-19,2%). Le regioni che hanno registrato le diminuzioni maggiori sono la Basilicata (-46,5%) e la Campania (-45,9%). Solo in leggerissima diminuzione la Puglia, la Valle d’Aosta e la Toscana che registrano flessioni inferiori al 3%. La situazione risulta molto diversificata comunque per provincia con la tendenza delle aree del versante adriatico a continuare ad esercitare, pur nel contenimento degli ingressi, una certa attrattività sui flussi.
Durante il 2012 sono scaduti oltre 180 mila permessi che non sono stati rinnovati. Nella maggior parte dei casi (46,5%) si è trattato di permessi per lavoro, per il 27% di permessi per famiglia, nel 12% di permessi per studio. Si deve anche sottolineare il consistente numero di permessi per asilo e motivi umanitari scaduti e non rinnovati: circa il 28%.
Il futuro: più domande che risposte
Il futuro dell’immigrazione in Italia di cittadini non comunitari è ovviamente difficile da prevedere, come quello di qualsiasi forma di migrazione così dipendente da una molteplicità di fattori di spinta e di attrazione. Non solo per questa ragione sembra opportuno spostare l’attenzione dai flussi migratori alle popolazioni immigrate. In questo modo è possibile mettere in luce alcuni dei nodi cruciali sui quali si giocherà la partita dell’integrazione. Un dato di partenza su cui riflettere è il numero di minori non comunitari nati in Italia: sono circa 420 mila, due terzi del totale dei minorenni non comunitari. Ammesso che non ci siano mutamenti nella normativa sulle acquisizioni di cittadinanza, cosa faranno questi ragazzi al compimento del 18° anno di età? Decideranno di diventare italiani? E cosa farà il milione e mezzo di cittadini (numero destinato a crescere) ormai presenti a tempo indeterminato nel nostro Paese? Resteranno davvero per sempre in Italia? Il permesso di soggiorno di lungo periodo rappresenterà un primo passo verso l’acquisizione delle cittadinanza o, invece, sarà una via alternativa di presenza stabile nel Paese? In altri termini, citizen or denizen? La risposta a questi quesiti dipenderà dall’idea, ancora non ben delineata, di quale debba essere l’Italia del futuro.
Questi dati sugli stranieri non comunitari mostrano, una volta di più, come l’immigrazione non sia un fenomeno transitorio e, gioco forza, la società italiana dovrà tenerne conto. Accanto a questo tipo di scenario andrà però considerato anche quello più mobile e dinamico di presenze stagionali, favorite, in qualche modo, dalla crisi in atto e incentivate dalle politiche.
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